Quando il tempo si sospende, noi impariamo a raccontarci

Il primo mese di lockdown sta per concludersi. E quasi sicuramente le misure di isolamento sociale per evitare di incrementare i contagi da Coronavirus saranno prolungate. Nessuno sa bene o può prevedere fino a quando. In queste circostanze drammatiche le regole non le detta il singolo ma l’obiettivo ultimo di tutti: il bene della collettività, della comunità di cui facciamo parte.

Un bene che certamente è prima di tutto sanitario ma anche sociale, economico, perché questi giorni difficili hanno reso fragile, o ancor più fragile la “macchina Italia”.

Ma a un certo punto, tra un mese, due o tre, le cose inizieranno ad andare meglio e i pezzi si incastreranno un’altra volta. E sarà un equilibrio nuovo, diverso. Perché il coronavirus sta cambiando le cose attorno a noi ma, prima di tutto, sta cambiando noi.

Come startup e come piccola comunità ci abbiamo riflettuto molto. Sin dal giorno zero abbiamo cercato di camminare sul coronavirus. Soffrendo, ma senza lasciare mai spazio alla rassegnazione. Consapevoli che le cose non torneranno come prima e con la convinzione che soprattutto noi non vogliamo che tornino come prima, perché se cosi fosse vorrebbe dire che tanta sofferenza è stata vana. E quindi in questi giorni di “sospensione” vogliamo e dobbiamo riorganizzare e ridisegnare il nostro modo di raccontarci, raccontare e raccontarvi. Sentiamo che abbiamo poco tempo – siamo ottimisti, e speriamo che l’emergenza rientri presto – per cambiare il nostro approccio alle cose.

Partiamo dal racconto delle aziende, il core della nostra di startup fin da quando ha mosso i primi passi nel 2015. Parliamo davvero di essere “human to human” e per questo abbiamo preso a prestito la metafora del ponte. Una bridge strategy che prima di attraversare il “Key Performance Indicator” dell’azienda, attraversi le paure mettendo al centro le persone. Una via nuova, inedita e a tratti impervia. Ma l’unica per la quale vale la pena provare a tessere relazioni di “valori”.

Le imprese, i brand, sono fatti di persone. E come le persone hanno punti di forza e fragilità, entusiasmi e debolezze. Fino ad oggi per raccontarci abbiamo voluto indossare il vestito migliore. Ma da oggi per raccontarci con reale trasparenza ed essere più vicini alle persone dobbiamo parlare anche delle nostre insicurezze, per scoprire che spesso sono condivise. Dobbiamo parlare della nostra ansia, dei progetti fermi, della paura di non poter ripartire e di quel senso di impotenza che ci travolge tutti in un momento dove ci sentiamo a volte inutili.

Solo cambiando il nostro approccio alla comunicazione adesso che i fatti di realtà ce ne danno l’opportunità e mutuando questo cambiamento, tenendocelo stretto quando le cose andranno meglio, potremo davvero dire che il brand è dentro la società e può condividere con lei successi, qualche debolezza, entusiasmi e certo condividere a pieno progetti nuovi.

Siamo solo all’inizio del viaggio, ma abbiamo sempre meno tempo. Prima che tutto ritorni come prima, prima che tutto sia drammaticamente vano.